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I Racconti della Luna







I Parte

Libero 



Una foresta verdeggiante mi avvolge, scura, umida, intensa. L'acre odore di muschio assale le mie nari e penetra nel profondo del cervello. Piano respiro quest'aria pesante, mentre gli alberi mi parlano in coro con la voce del vento. Cresce nel mio petto una forza primordiale, forte, dirompente che preme con forza per uscire. Allora lascio che si liberi, in un urlo che come un ululato riverbera nell'aria, subito assorbito dall'oscurità della foresta. Un’energia freme in tutto il mio corpo, esaltante, animalesca. Lancio tutto il mio essere in una corsa liberatoria. Corro a perdifiato tra gli alberi, nel totale abbandono della razionalità, seguendo solo il puro istinto bestiale. Sferzato dai rami, col cuore che pompa all'impazzata e il fuoco nei polmoni, in questa folle corsa mi sento libero, nel corpo e nell'anima, potente, inarrestabile. L'esaltazione si sprigiona in un nuovo ululato che buca il tetto di foglie e rami e arriva dritto al cielo.


Riprende la pazza corsa, più il cuore martella nel petto, più l’esaltazione cresce. Un tempo indefinito è trascorso, quando a un tratto il mio correre si blocca istantaneo. Sento un suono che non è di questo posto. Resto immobile e anche l’aria mi parla, un odore che m’infastidisce mi arriva forte. Circospetto mi muovo nell’intricato sottobosco, verso la fonte del mio disagio. Ecco che sento di nuovo gli strani versi, ora vedo da chi provengono, è l’animale uomo che si aggira per la foresta, tagliando e squarciando ciò che gli si para davanti. Il primo impulso m’induce alla fuga. Per una volta non ascolto il mio istinto e resto a guardare. Rompono, tagliano, scavano. Prima un piccolo spazio, poi sempre più esteso. Violano la foresta nel suo stesso grembo. Ora intrecciano e accostano alberi e rami, fino a dar forma ad anfratti in cui spariscono, come in grosse tane.
Ho visto abbastanza e pian piano mi allontano. L’animo si alleggerisce man mano che i rumori e le voci si fanno più lontani.
Mi sento strano, come oppresso, come se un po’ della mia libertà spensierata sia stata limitata. Mi scrollo di dosso tutta la cosa, ora un nuovo impulso arriva intenso e crescente. La fame. Chiudo gli occhi e apro tutto il mio essere a ciò che mi circonda. Ogni suono e ogni odore passo al setaccio, finché non trovo ciò che cerco. Finché non sento la mia prossima preda. Felpato mi avvicino seguendo l’olfatto, piano, come una parte di foresta mossa dal vento. Ecco ora anche il mio sguardo si posa sull’origine dell’odore. Aspetto, immobile, ogni senso all’erta, teso il corpo, pronto allo scatto. Trascorre il tempo senza che nulla faccia presagire cosa avverrà. Ecco che la creatura si volge verso me e si avvia tranquilla, ignara di ciò che la sorte le riserva.
Vicina, sempre più vicina, finche uno scatto improvviso, un balzo felino e a terra rotolo avvinto a essa. Zanne che penetrano la carne, fiotti di sangue che si sprigionano dal corpo agitato. Sento il rosso liquido che scende in gola, dolce, caldo, fluisce in me insieme alla vita della creatura. Squarcio le carni e sazio l’atavica fame.
Finito il fiero pasto, cerco solo la tranquillità. Lascio gli immobili resti e mi allontano, per immergermi nel folto rassicurante della foresta. Alla ricerca di un posto dove riposare, dove trascorrere tranquillo qualche ora di meritato riposo.
Il sonno leggero viene bruscamente interrotto, odore dell’odiato fuoco. Volute di fumo arrivano verso di me. Mi agito, esco dal cavo del grosso albero che mi ha dato rifugio. Indeciso se spostarmi nella direzione opposta alla provenienza del fumo o di vederne l’origine. Il mio dubbio si risolve quando al mio udito giunge un rumore noto. Uomo. La cosa m’irrita, ancora quest’animale che invade la foresta. Vado a vedere lesto.
Mi ritrovo nel posto dove ieri li ho visti armeggiare. Hanno creato un posto pieno di tane, e un grosso fuoco arde al centro di questa radura artefatta. Non mi piace. Mi sposto lento e cauto per osservare meglio, mentre il fumo continua a riversarsi verso di me, annullando di fatto tutti gli altri odori dei dintorni.
Un piccolo gruppo entra nella radura dal lato opposto, portano appese a un ramo prede che ormai sanno solo di carogna.
Mi volto per allontanarmi con un senso di disgusto e in un attimo il mondo pare fermarsi.
Faccia a faccia con un animale uomo mi ritrovo. Sul suo viso il terrore, forse specchio della mia stessa espressione.
Grida ed io scatto, un attimo e la sua gola è squarciata. Corro, veloce come mai fatto prima. Senza pensare, corro e basta, senza neanche guardare..... Continua








Parte II


Tenebra






La luce del sole che si alza nel cielo mi porta a lasciare il mondo dei sogni.
Scricchiola mentre mi muovo il grosso ramo che è stato il mio letto e che stento regge la mia mole.
L’aria fresca, frizzante, che sa di salmastro, mi arriva sul viso. Porta via gli ultimi stralci del sonno trascorso.
Dalla non lontana scogliera arriva il ritmato rumore della risacca.
Scendo dal mio improvvisato giaciglio, fruscia il ramo ormai libero, come fosse un sospiro di sollievo.
I piedi ben piantati sul suolo, immersi nella verde erba carica di rugiada e brina ghiacciata.
La temperatura deve esser scesa di molto, ma non è certo un problema per me. Mai sentito freddo.
Però la fame la sento, la sento eccome. Potrei mangiare un intero bue.
Nell’aria non v’è traccia di odori da far pensare a selvaggina.
Brontola violento il mio stomaco.
Mi dirigo verso la scogliera. Spazia la mia vista su una splendida baia. Le rocce più a nord diradano e si abbassano, finché non resta solo pianura, nella quale scivola leggero un placido fiume, il cui estuario si apre al centro della baia.
Sotto di me, a qualche piede d’altezza, una sporgenza con un grosso nido dove fanno capolino tre grosse uova.
Scendo, le afferro e le bevo quasi fossero una. Certo ben magro pasto per il mio insaziabile appetito, ma sembra che per ora debba bastare.
Grida stridenti mi arrivano da dietro, subito dopo qualcosa acuminato mi colpisce sul capo. Credo che sia l’uccello con le cui uova ho pasteggiato. Con un rovescio di mano lo scaccio come mosca fastidiosa. Risalgo sulla scogliera ed inizio a discendere in direzione del fiume a valle. Volteggia intanto disperato l’uccello. Disperato e impotente.
Quando arrivo in prossimità del fiume il sole è allo Zenith. La fame è prorompente.
La foce del fiume è più larga di quanto sembrasse dall’alto. Forma parecchie pozze, dove nuotano e saltellano numerosi pesci. Mi butto dentro e con veloci colpi di mano, comincio a gettarne sulla riva. Pregustando un delizioso arrosto.
Dopo aver lanciato a riva almeno due dozzine di pesci di varie misure, decido che come spuntino possano bastare.
Mi volto per tornare a guadagnare la riva e mi ritrovo con un inatteso spettacolo.
Un orso dal fulvo manto sta tranquillamente pasteggiando con il mio spuntino.
Sale la mia rabbia alimentata dalla gran fame. Lanciando un grido belluino salto in direzione dell’orso, che tosto si alza sulle zampe posteriori, pronto alla lotta , per niente disposto a restituire il maltolto.
La mole dell’orso potrebbe quasi eguagliare la mia, ma non è così.
Mentre lui si slancia in avanti per colpire con le artigliate zampe, parte un pugno, grosso pesante, violento e soprattutto veloce. Lo colpisce alla mandibola, come un maglio di ferro. La testa dell’orso schizza nella direzione opposta e nel mentre un altro possente colpo è già partito. Dall’alto verso il basso, come fosse il pesante martello del Dio dei fabbri, colpisce il cranio della belva, che se pur grosso e possente, scricchiola e si rompe sotto il violento urto.
Stramazzata a terra la bestia resta immobile, non ve più vita a sorreggerla.
Bene. Ora la rabbia scema, spuntino di pesce e bistecche d’orso. Sicuramente meglio.
Mi metto subito all’opera, lavorando prima di coltello e poi sul fuoco, da dove fumi fragranti salgono a stuzzicare ancor di più, se possibile, il mio già immenso appetito.
Consumo il pasto quasi con ferocia.
Solo il lento riempirsi del mio stomaco acquieta la fame e la rabbia che ne deriva.
Finalmente sazio, come non lo ero da tempo.
Ora un meritato riposino, prima di riprendere il cammino.
Sono già ore che cammino senza una vera meta da raggiungere. Mi dirigo verso nord, ma non saprei dire esattamente perché. Come se un qualcosa mi spingesse in tale direzione.
In spalla la pelle dell’orso con pezzi di carne che presto serviranno ad acquietare la fame che pare già dimentica dell’abbondante pasto dal quale sono trascorse una manciata di ore.
Mi addentro in una foresta dal particolare aspetto. Bella, alberi molto alti dal fusto dritto che si staglia sicuro verso il cielo, quasi a volerlo bucare. Il sottobosco è stranamente pulito e di facile accesso.
Più mi addentro, più la dimensione degli alberi cresce. Già da un po’ anche con le mie lunghe braccia non riuscirei a cingerli per intero. Ora addirittura servirebbero due o forse anche tre me, per abbracciarli.
Mentre avanzo il silenzio si fa via via più assordante. Un silenzio innaturale, niente uccelli ne insetti, neanche il frusciare delle foglie.
D’un tratto mi arresto, assalito da un’inquietudine soffocante.
Come se un nero manto fosse calato a ricoprirmi. Nero, denso, opprimente, soffocante.
Mi volto nella direzione dal quale son venuto in preda ad un panico irrazionale.
Voglio fuggire, scappare lontano. Allontanarmi da quel luogo ameno.
Le mie gambe non si muovono. Sembra il mio corpo come uno dei grossi alberi, inamovibile. Ora tutt’intorno è…tenebra. ....Continua.

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L'Anima Scritta

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